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Lettere A Colori: Descrizioni di dipinti nella corrispondenza di Dante Gabriel Rossetti

Federica Mazzara, University College London

La denotazione delle immagini descritte nelle lettere non avviene semplicemente attraverso l’elencazione degli oggetti presenti nel dipinto; Rossetti ricorre ad ogni possibile ritualità ecfrastica. La più frequente riguarda certamente la “dinamicizzazione” delle immagini. Egli, infatti, sembra spesso servirsi della descrizione verbale per animare i suoi quadri, per renderli vivi; sfrutta l’enargeia della parola, non solo per riprodurre verbalmente le immagini già esistenti sul piano pittorico, ma per attribuire loro una certa “vividezza”. In questo caso le descrizioni presentano una “tecnica performativa”, secondo una definizione che ho suggerito in un’altra occasione @. La dinamicizzazione, inoltre, non riguarda semplicemente le rappresentazioni in senso stretto, ma anche lo sguardo di chi – nella fattispecie il destinatario della missiva – è invitato, a ricostruire, interpretare e leggere le immagini. L’invito è a volte esplicito, come nel caso de La Pasqua ebraica (6): «credo potrà constatare lei stesso che questo disegno differisce completamente da quello di Herbert di qualche anno fa».
In casi di immagini particolarmente complesse sul piano figurativo, come in Cassandra (8), Maria Maddalena alla porta di Simone il fariseo (11), La domanda (15, 16), e Il ritorno di Tibullo da Delia (18) – per citare solo i casi più evidenti – si può notare come la descrizione diventi occasione per trasformare le immagini in veri e propri setting di una narrazione dinamica. In altre parole, l’integrazione ermeneutica fornita da queste descrizioni non è meramente funzionale alla decodificazione degli aspetti, spesso simbolici, della rappresentazione, ma praticamente necessaria per comprendere le relazioni che Rossetti si immagina esistano tra i personaggi. Si pensi in modo particolare all’ekphrasis dedicata a Cassandra o a Maria Maddalena, entrambe immagini particolarmente “claustrofobiche”, che soltanto con l’aiuto della descrizione verbale è possibile comprendere nei dettagli. Le ekphraseis dedicate a questi disegni, infatti, oltre a nominare quasi tutti i personaggi di queste affollate scene, ne raccontano la vicenda, ingenerando un effetto dinamicizzante che rende l’immagine particolarmente viva. Questo effetto è inoltre favorito dall’integrazione di altre dimensioni sensibili che richiedono all’occhio di collaborare sinesteticamente con gli altri sensi. Rossetti, infatti, non manca di corredare le sue descrizioni di suoni, odori e percezioni tattili che aumentano il rischio pigmalionico, o direbbe Mitchell, la “paura ecfrastica” delle immagini; e così Ettore rappresentato in Cassandra (8) «cerca di farsi sentire attraverso i rumori», i musicanti di Maria Maddalena (11) «suonano davanti alla porta», mentre i personaggi presenti ne Il concerto campestre (2) «hanno appena smesso di suonare i loro strumenti».
È ovunque un’orchestrazione di suoni, rumori, melodie e canti, alla quale si accompagna spesso la percezione tattile degli intagli sulle cornici, dei drappeggi che vestono le sue muse, e soprattutto dell’“incarnato”, su cui le descrizioni di Rossetti insistono molto. Si pensi alla citata ekphrasis di Bocca Baciata (7) in cui Rossetti dichiara espressamente di volersi esercitare, appunto, nella rappresentazione dell’incarnato, stimolando così un’attenzione nei confronti di questo elemento che finirà per diventare dominante sul piano sia figurativo sia descrittivo.
Le ekphraseis epistolari rappresentano inoltre uno strumento per integrare le sue opere pittoriche anche da un punto di vista ermeneutico, offrendo una serie di chiavi di lettura all’osservatore attraverso i criteri di una “tecnica esplicativa” @. Rossetti si serve dell’integrazione interpretativa per chiarire, ad esempio, le fonti letterarie che si celano dietro le sue figurazioni pittoriche. È interessante, infatti, notare con quanta precisione egli espliciti, anche attraverso citazioni – che spesso confluiscono sulle cornici o sulle stesse tele – i passi delle opere letterarie da cui prende ispirazione. Si pensi a Giotto che dipinge il ritratto di Dante (4), in cui Rossetti combina più fonti: Il Purgatorio e la Vita Nuova; o a Beata Beatrix (14) e a Il sogno di Dante (19) che prendono entrambe spunto dall’episodio della morte di Beatrice narrato ancora una volta ne La Vita Nuova.
L’integrazione ermeneutica fa riferimento a volte alla sua stessa produzione poetica, per cui il soggetto de La domanda (15) «è lo stesso di quello della mia breve poesia La nuvola», mentre nella lettera inviata al fratello con la descrizione de Il concerto Campestre (2) o in quella inviata a Stephens contenente le ekphraseis di Proserpina (16) e La Bella Mano (16), inserisce anche il sonetti che i dipinti gli hanno ispirato.
Infine, oltre alla dinamicizzazione delle immagini e dello sguardo, e all’integrazione sinestetica ed ermeneutica, le descrizioni di Rossetti, presenti nelle sue corrispondenze, mettono in atto un’altra fondamentale funzione ecfrastica che riguarda il destinatario, il quale si trova spesso coinvolto nel rituale interpretativo messo in atto nelle sue lettere. La domanda che, ad esempio, Rossetti rivolge alla zia – «Non pensate possa aiutare l’osservatore?» – alla quale invia una lettera contenente la descrizione del trittico La stirpe di Davide (10), è la cifra di questa tecnica di coinvolgimento nel processo generativo dell’opera; la domanda si riferisce alla possibilità di inserire dei versi d’accompagnamento all’immagine e tradisce, ancora una volta, l’ansia dell’artista di rendere quanto più intelligibile la sua produzione pittorica.
L’abilità ecfrastica di Rossetti sembrerebbe crollare però nella descrizione più poetica di questa raccolta, quella del trittico di Memling, Il matrimonio mistico di Santa Caterina (3), che egli ebbe modo di contemplare durante una visita a Bruges da dove, assieme all’amico Hunt, inviò una lettera al confratello James Collinson per condividere l’emozione di quella visita.

La particolarità di questa ekphrasis è data dal fatto che, in realtà, dichiara di non voler adempiere alla sua funzione, quella cioè di descrivere: «non azzarderò nessuna descrizione», così scrive Rossetti. Dinanzi a tanta potenza e bellezza di immagine, la parola non basta, poiché non sarebbe in grado di tradurre quel turbinio di emozioni che un’immagine così gloriosa e perfetta provoca a chi la osserva. In realtà, in questo caso Rossetti si serve di una vera e propria preterizione, dichiara cioè di non volere descrivere un dipinto di cui poi delinea in realtà «la perfezione dello stile e perfino del disegno, la sorprendente finitura, la gloria del colore, ma soprattutto il puro sentimento religioso e la poesia estatica». Manca, è vero, la descrizione dell’azione, il testo non è mimetico rispetto alla rappresentazione visiva – come avviene in quasi tutte le altre ekphraseis rossettiane contenute in queste lettere – ma l’enargeia della parola stimola l’occhio della mente ad immaginare una figurazione sublime che trasmetta all’uomo «un’estrema vergogna per la sua inferiorità».
Le lettere raccolte in questo volume testimoniano l’abilità di Rossetti di ricreare immagini visive attraverso la potenza del verbo. È nell’ekphrasis da un lato, e nelle sue opere doppie dall’altro, che si compie definitivamente la ricongiunzione dei due poli della sua produzione artistica binaria, la parola e l’immagine.