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Lettere A Colori: Descrizioni di dipinti nella corrispondenza di Dante Gabriel Rossetti

Federica Mazzara, University College London

(16) Proserpina, La Bella Mano, Dis Minibus, La Ghirlandata, Venus Astarte, La Domanda

Proserpine
16 Cheyne Walk
Tuesday

Mio caro Stephens,

Penso che, per quanto possibile, queste debbano essere collocate insieme, anche se (in verità) andrebbero considerate solo come “una selezione” dei dipinti e dei disegni fatti di recente […].
Sempre tuo, D. G. R.

Le note sono materiale grossolano da usare come semplice promemoria.

P.S. Mi farebbe piacere se trovassi il modo di parlare del disegno La domanda, al quale, essendo uno dei miei preferiti, vorrei gli venisse dedicata maggiore attenzione, nella speranza di avere prima o poi la possibilità di dipingerlo. Ovviamente se i tuoi piani non dovessero corrispondere ai miei, asseconda pure la tua scelta. Ho pensato, in un secondo momento, fosse preferibile non inserire i sonetti. Dovremmo parlare di questo se ci vedremo, come spero.
Il quadro è uno studio di tinte grigie che culminano nel colore del drappeggio, un blu caldo ma appena evidente. Proserpina tiene in mano il melograno che, assaggiato all’inferno, le ha precluso il ritorno sulla terra. Sta attraversando un angusto corridoio del suo palazzo, e una luce accecante (come se una porta posta in alto si fosse aperta d’improvviso facendo penetrare per un momento la luce del mondo esterno) colpisce il muro dietro di lei, risaltando molto la testa e la massa di capelli, mentre volge lo sguardo triste verso il distante bagliore. Sul muro un ramo d’edera s’incurva verso il basso, formando assieme alle tortuose linee del drappeggio il motivo pittorico del disegno.
Proserpina

        Afar away the light that brings cold cheer
             Unto this wall,—one instant and no more
             Admitted at my distant palace-door:
        Afar the flowers of Enna from this drear
        Cold fruit, which, tasted once, must thrall me here:
             Afar those skies from this Tartarean grey
             That chills me: and afar, how far away,
        The nights that shall be from the days that were.
        Afar from mine own self I seem, and wing
10         Strange ways in thought, and listen for a sign:
             And still some heart unto some soul doth pine,
        (Whose sounds mine inner sense is fain to bring,
        Continually together murmuring,)
             “Woe's me for thee, unhappy Proserpine!”
Proserpina

        Lungi è la luce che in sù questo muro
             Rifrange appena, un breve istante scorta
             Del rio palazzo alla soprana porta:
        Lungi quei fiori d'Enna, O lido oscuro,
        Dal frutto tuo fatal che omai m'è duro.
             Lungi quel cielo dal tartareo manto
             Che quì mi cuopre: e lungi ahi lungi ahi quanto
        Le notti che saràn dai dì che furo.
        Lungi da me mi sento; e ognor sognando
10         Cerco e ricerco, e resto ascoltatrice;
             E qualche cuore a qualche anima dice,—
        (Di cui mi giunge il suon da quando in quando,
        Continuamente insieme sospirando,)—
             “Oimè per te, Proserpina infelice!”
La Bella Mano
Il titolo può ricordare ai lettori italiani la nota serie di sonetti petrarcheschi così nominata da Giusto de Conti. L’immagine è, comunque, semplicemente il risultato dell’immaginazione di un pittore ed è legata quasi interamene alle sue qualità pittoriche. Appartiene alla classe di dipinti di tolette dove Venere o la donna tiene gli Amorini, i suoi servi. La donna sta lavandosi le mani ad una cisterna in un catino di metallo, mentre due Amorini vestiti di bianco e dalle ali rosse sono in attesa, uno tiene pronto il panno, l’altro porta su un vassoio d’argento il bracciale e gli anelli, gli abbellimenti destinati alla sua “bella mano”. Uno specchio dietro la sua testa riflette la stanza e il letto, il riflesso è profondamente scuro, anche se si intravede un fuoco che brucia nel camino all’angolo. Lo scopo pittorico dell’opera è quello di mostrare la brillantezza delle tinte bianche dell’incarnato messe in risalto su uno sfondo negato alla vista e tuttavia pieno di colore e materiali vari.
La Bella Mano

O lovely hand, that thy sweet self dost lave
             In what thy pure and proper element,
             Whence erst the Lady of Love's high advènt
        Was born, and endless fires sprang from the wave;—
        Even as her Loves to her their offerings gave,
             For thee the jewelled gifts they bear; while each
             Looks to those lips, of music-measured speech
        The fount, and of more bliss than man may crave.
        In royal wise ring-girt and bracelet-spann'd,
10         A flower of Venus' own virginity,
        Go shine among thy sisterly sweet band;
             In maiden-minded converse delicately
             Evermore white and soft; until thou be,
        O hand, heart-handsel'd in a lover's hand.
        La Bella Mano

        O bella Mano, che ti lavi e piaci
             In quel medesmo tuo puro elemento
             Donde la Dea dell' amoroso avvento
        Nacque, (e dall' onda s'infuocar le faci
        Di mille inispegnibili fornaci):—
             Come a Venere a te l'oro e l'argento
             Offron gli Amori; e ognun riguarda attento
        Quel labbro, sponda, ahime! di voce e baci.
        Con dolce modo dove onor t'invii
10         Vattene adorna, e porta insiem fra tante
             Di Venere e di vergine sembiante;
        Umilemente in luoghi onesti e pii
        Bianca e soave ognora; infin che sii,
             O Mano, mansueta in man d'amante.
Dis Manibus
Il titolo si riferisce al soggetto rappresentato – quello di una vedova romana seduta in una cripta funebre accanto all’urna cineraria di suo marito, la cui inscrizione è intitolata “Dis Manibus”; la donna sta intonando su due arpe (come si può notare in alcuni esempi classici) un’elegia alla “divina Mana”. È vestita di bianco – il colore degli abiti da lutto delle nobili donne romane. L’aspetto antico della forma delle arpe è dato principalmente dal guscio di tartaruga e da accessori di ebano o corno nero intarsiati con l’argento. L’arpa che suona con la mano destra è abbellita con rose selvagge; e sotto l’urna, lungo il muro di marmo verde, vi è un grande festone di rose da giardino, che richiama quello che si trova quasi sempre su urne di questo tipo e che nella fattispecie è posto attorno alla sua inscrizione. Sull’urna è posta la cintura nuziale d’argento della vedova, dedicata tanto al marito morto quanto a quello vivo. Il momento scelto si suppone appartenga a quelle speciali occasioni in cui i romani usavano commemorare i riti funebri, e che ricorrevano ad intervalli durante l’anno.
La Ghirlandata
La “donna della ghirlanda” vestita di verde siede tra le foglie dorate del biancospino e i roveti di mirto; le sue mani emettono una musica dall’arpa che le sta accanto mentre il suo volto è assorto nel suono. Ai due lati, sopra le sue spalle, due angeli guardano attraverso le raggianti foglie dell’aldilà, come se anche in Paradiso fossero in attesa della sua canzone. Attorno alla sommità dell’arpa è appesa una ghirlanda di rose e caprifoglio, i più dolci dei fiori terreni, e il cielo sopra, dove il giorno è ormai sul finire, sembra esprimere una grazia ancora più grande. Mentre lei suona, la brezza serale comincia a soffiare sollevando il leggero drappeggio sulle sue spalle. Per quanto riguarda il colore, il dipinto è uno studio di tinte principalmente verdi, intervallate da variazioni di blu, da quello scuro dell’aconito che riempie la base del dipinto, al blue brillante dell’uccello che guarda attraverso le foglie, da quello dei simboli alati che ornano lo strumento, a quello sbiadito del cielo. Queste tinte sono bilanciate dal colore bronzato delle chiome e da quello cupo dell’arpa, uno strumento solido e con corde su entrambi i lati [...].
Astarte Syriaca (Venus Astarte)
La Venere siriana è qui rappresentata in un leggero drappeggio doppio, con una mano poggiata sulla cintura del petto e l’altra su quella ai suoi fianchi. Dietro di lei due spiriti tutelari alati portano delle torce, mentre in alto brilla la stella Venere tra il Sole calante e l’ascendente luna.
La domanda
In questo disegno il soggetto rappresenta tre pellegrini greci – un giovane, un adulto e un vecchio, che consultano la Sfinge come un Oracolo. A distanza, tra le rocce taglienti ai lati di una stretta insenatura di mare, s’intravede la nave che li ha portati da lontano nel punto navigabile più vicino; da lì hanno scalato i pendii fino ad arrivare alla rocciosa piattaforma sulla quale la Sfinge siede sul suo trono in un immobile mistero, il suo petto sporge in avanti tra i rami sparuti di un albero d’alloro spaccato, e i suoi artigli da leone piantati in essi. Il giovane, che stava per porle la sua domanda, ha perso improvvisamente i sensi per la fatica del viaggio e l’incontenibile emozione; l’uomo è chinato in avanti sul corpo abbandonato del giovane e fissa dritto negli occhi la Sfinge per decifrare la risposta; ma quegli occhi sono rivolti verso l’alto e, senza dare risposta, fissano il cielo, invisibile all’osservatore perché posto al di là dello spazio del disegno, e di cui si vede solo un freddo riflesso lunare nella stretta insenatura del mare ondeggiante. Nel frattempo si vede l’uomo anziano ancora nel tentativo di salire e alla volta del suo ultimo passo prima di giungere sulla piattaforma, desideroso fino alla fine di apprendere quel segreto che nessuno conosce. Nel simbolismo del disegno (che deve il titolo al famoso verso di Shakespeare “essere o non essere questo è il problema”) la perdita di coscienza del giovane va considerata come il simbolo della morte precoce, il più spietato tra gli impenetrabili misteri” @.